Non ho mai parlato dei miei gatti. Ne ho accennato nel post precedente, ma solo per l'ennesimo danno da loro provocato.
Adesso vi racconto com'è successo che ho finito per avere tre gatti. Non uno. Non due. Tre. E tutti uguali, più o meno.
La loro storia risale al 2014. Nell'agosto di quell'anno stavamo cercando di organizzare un bel compleanno per mia figlia, ma come sempre, non avevamo idea di cosa le piacesse. Eravamo tutti e tre in piedi in mezzo al salotto, ognuno di noi era stato fino a poco prima occupato nelle sue attività e in quell'istante decisivo ci eravamo trovati tutti e tre nel medesimo punto. Una specie di Time Crash alla Doctor Who.
Per fortuna non è finita come il Titanic, ma quella faccenda dell'iceberg che è più grande sotto che sopra potrebbe essere applicata anche alla frase "potremmo prendere un gatto".
Ecco come è andata.
Ovviamente mentivo.
Avevo più o meno l'età di mia figlia quando per la prima volta chiesi a mia madre se potevamo prendere un gatto. Come la mia "Zia di Francia", che viveva con un gatto vecchissimo, buono oltre ogni limite di bontà felina, la quale alloggiava in casa nostra un mese o due l'anno in occasione delle feste di Natale.
Ogni anno era lo stesso rituale. La zia arrivava, portando in regalo cose favolose che da noi non esistevano: il Ciocorì,
il cioccolato bianco, buffi dolcetti di surrogato... le zollette di zucchero!
E un gattone nero. Pion.
La zia profumava di acqua di colonia. Adoravo quel profumo, e poiché adoravo anche il suo gatto e chiedevo continuamente ai miei di prendermene uno, mia mamma mi raccontava la storia che la zia si dava tutto quel profumo per nascondere la puzza di gatto.
Quando la zia ripartiva per Marsiglia, non si parlava d'altro che della puzza di gatto che rimaneva nella sua stanza. Ripeteva per settimane che gli animali in casa soffrono tantissimo e che è una crudeltà avere un cane o un gatto, che mai e poi mai ci avrebbe permesso di tenere un animale in casa. Per il bene dell'animale, ovviamente.
E così cominciai a crederlo davvero. Passarono gli anni, Pion morì, la zia invecchiò e smise di venire a trovarci. Poi anche la zia morì e già da anni era passata in me l'idea di avere un gatto. Crescendo dimenticai di averne mai voluto uno.
Quando i miei figli mi chiesero un animaletto, non pensai minimamente ad un gatto o un cane e presi dei pesci. Molti pesci. Che a loro volta produssero altri pesci.
Questa è la storia di come salvammo due gattine.
Le nostre gattine Cody Codina e Fifì La Fifona sono di una stirpe estinta. Sorelle, madre, zii e nipoti sono stati sterminati da un virus che ha colpito la casa in cui vivevano un anno dopo l'adozione.
La risposta immediata che il mio compagno aveva dato alla bambina non era una decisione presa alla leggera o una concessione fatta per accattivarsi il suo affetto. Avendo sempre vissuto con dei gatti, gli pareva la cosa più naturale del mondo averne uno anche in casa nostra. Vivere in una casa senza cani o gatti per lui era molto strano, lo capii solo in seguito.
In ogni caso io non volevo acquistare un gatto. Ho sempre avuto una certa ritrosia a comprare esseri viventi - anche coi pesci, ne comprai solo tre e lasciai alla natura fare il suo corso.
Così cercai dei gattini in regalo e trovai dei cuccioli partoriti da una randagia che aveva l'abitudine di portare i suoi piccoli in un fienile. Quando andammo a trovarli ci innamorammo di quelle palline di pelo tigrato.
Una gattina in particolare attirò l'attenzione del mio compagno: era la più fifona ("prudente" la definì lui, "non si infilerà mai sotto una macchina"), e anche se aveva un occhietto velato dalla congiuntivite non curata, decidemmo che ci piaceva com'era. Fu così che Fifì venne scelta.
Per mio conto, adoravo una gattina con la coda annodata, e anche ai bimbi piaceva moltissimo, nonostante il mio compagno fosse preoccupato per le conseguenze che avrebbe avuto nella crescita. Era la gattina più sana delle quattro sorelle, la più dolce, si lasciava coccolare e adorava giocare con la sorellina fifona. Fu così che anche Cody venne scelta.
Cody è la nostra mamma gatta.
Un anno dopo Codina diede alla luce cinque piccoli gattini, un maschietto e quattro femminucce. Proprio come era stato per la cucciolata da cui era nata. I gattini, come lei, erano tutti tigrati.
Imparai - io che non dovevo avere dei gatti! - ad aiutare una mamma gatta nel parto e nell'allattamento. Inventai buonissime pappe per i micetti e trovai meravigliose famiglie per adottare i gattini. Riuscii persino a non dividere due delle quattro sorelline.
L'esperienza del parto e dello svezzamento resterà come uno dei più bei ricordi della mia vita.
Cody capiva che potevo aiutarla: durante il travaglio volle spostarsi nella nostra stanza e cominciò a far nascere un cucciolo dopo l'altro solo quando fummo tutti intorno a lei. Mi riconosceva come mamma e mi accettava durante l'allattamento.
I gattini erano tutti sani e seguirono normalmente lo sviluppo fino al'indipendenza dalla mamma. Fu doloroso lasciarli andare in una nuova casa, ma nel contempo fu anche un grandissimo successo personale. Mi sentivo davvero gratificata.
Solo uno di loro prese una strada diversa. Quando Cody decise di non allattare più uno dei suoi cuccioli, un maschietto nato con la coda corta, imparai a svezzarlo anticipatamente e lo presi in cura per sopperire alle coccole mancanti, affezionandomi a lui.
E fu così che Codamozza venne scelto.
Non di solo rose. Decidere di avere dei gatti è stato l'inizio di un'avventura fatta di rigurgiti, schifezze da pulire in giro per casa, ricerche web su siti specializzati, visite mediche, vaccini, soprammobili in mille pezzi e giocattoli sparsi per casa. Ma sono una mamma e ci sono già passata un paio di volte.
Si tratta delle conseguenze e della responsabilità del prendersi cura di qualcuno che porta luce e amore nella nostra vita. No pain, no gain.
Adesso non saprei vivere senza queste bellissime creature che condividono il mio spazio, perché danno molto di più di quello che si prendono e sentirei un grande vuoto.
Da questa storia ho imparato almeno tre cose.
Poiché non voglio fare la parte della gattara fanatica, se volete sentire altre storie sui nostri mici, contattatemi. Per il momento mi limito a fare quello che fa ogni ogni persona che ospita dei pelosi: vi inondo di foto. Miao.
Adesso vi racconto com'è successo che ho finito per avere tre gatti. Non uno. Non due. Tre. E tutti uguali, più o meno.
La loro storia risale al 2014. Nell'agosto di quell'anno stavamo cercando di organizzare un bel compleanno per mia figlia, ma come sempre, non avevamo idea di cosa le piacesse. Eravamo tutti e tre in piedi in mezzo al salotto, ognuno di noi era stato fino a poco prima occupato nelle sue attività e in quell'istante decisivo ci eravamo trovati tutti e tre nel medesimo punto. Una specie di Time Crash alla Doctor Who.
Per fortuna non è finita come il Titanic, ma quella faccenda dell'iceberg che è più grande sotto che sopra potrebbe essere applicata anche alla frase "potremmo prendere un gatto".
Ecco come è andata.
Io, rivolta a mia figlia: "Cosa ti piacerebbe di regalo per il tuo compleanno?"Lei, pucciosissima, sapendo che avrei detto di no: "Vorrei tanto un gattiiiino...."
Stavo per esordire con il solito No tesoro lo sai che gli animali in casa...ecc ecc, ma il mio compagno mi anticipò di un millisecondo e, come se fosse la cosa più normale del mondo: "Sì sì, possiamo prenderlo un gatto,"
Solo dopo, mentre mia figlia saltava gridando di gioia, realizzò che "forse avrei dovuto chiedertelo prima?"
Ma ormai lei stava esultando come Peter Pan, mentre io continuavo a fare occhiatacce dal significato "ma ti pare di dirle una cosa del genere? un gatto? non ho mai pensato di mettermi in casa un gatto!!"
Ovviamente mentivo.
Avevo più o meno l'età di mia figlia quando per la prima volta chiesi a mia madre se potevamo prendere un gatto. Come la mia "Zia di Francia", che viveva con un gatto vecchissimo, buono oltre ogni limite di bontà felina, la quale alloggiava in casa nostra un mese o due l'anno in occasione delle feste di Natale.
Ogni anno era lo stesso rituale. La zia arrivava, portando in regalo cose favolose che da noi non esistevano: il Ciocorì,
il cioccolato bianco, buffi dolcetti di surrogato... le zollette di zucchero!
E un gattone nero. Pion.
La zia profumava di acqua di colonia. Adoravo quel profumo, e poiché adoravo anche il suo gatto e chiedevo continuamente ai miei di prendermene uno, mia mamma mi raccontava la storia che la zia si dava tutto quel profumo per nascondere la puzza di gatto.
Quando la zia ripartiva per Marsiglia, non si parlava d'altro che della puzza di gatto che rimaneva nella sua stanza. Ripeteva per settimane che gli animali in casa soffrono tantissimo e che è una crudeltà avere un cane o un gatto, che mai e poi mai ci avrebbe permesso di tenere un animale in casa. Per il bene dell'animale, ovviamente.
E così cominciai a crederlo davvero. Passarono gli anni, Pion morì, la zia invecchiò e smise di venire a trovarci. Poi anche la zia morì e già da anni era passata in me l'idea di avere un gatto. Crescendo dimenticai di averne mai voluto uno.
Quando i miei figli mi chiesero un animaletto, non pensai minimamente ad un gatto o un cane e presi dei pesci. Molti pesci. Che a loro volta produssero altri pesci.
Questa è la storia di come salvammo due gattine.
Le nostre gattine Cody Codina e Fifì La Fifona sono di una stirpe estinta. Sorelle, madre, zii e nipoti sono stati sterminati da un virus che ha colpito la casa in cui vivevano un anno dopo l'adozione.
La risposta immediata che il mio compagno aveva dato alla bambina non era una decisione presa alla leggera o una concessione fatta per accattivarsi il suo affetto. Avendo sempre vissuto con dei gatti, gli pareva la cosa più naturale del mondo averne uno anche in casa nostra. Vivere in una casa senza cani o gatti per lui era molto strano, lo capii solo in seguito.
In ogni caso io non volevo acquistare un gatto. Ho sempre avuto una certa ritrosia a comprare esseri viventi - anche coi pesci, ne comprai solo tre e lasciai alla natura fare il suo corso.
Così cercai dei gattini in regalo e trovai dei cuccioli partoriti da una randagia che aveva l'abitudine di portare i suoi piccoli in un fienile. Quando andammo a trovarli ci innamorammo di quelle palline di pelo tigrato.
Una gattina in particolare attirò l'attenzione del mio compagno: era la più fifona ("prudente" la definì lui, "non si infilerà mai sotto una macchina"), e anche se aveva un occhietto velato dalla congiuntivite non curata, decidemmo che ci piaceva com'era. Fu così che Fifì venne scelta.
Per mio conto, adoravo una gattina con la coda annodata, e anche ai bimbi piaceva moltissimo, nonostante il mio compagno fosse preoccupato per le conseguenze che avrebbe avuto nella crescita. Era la gattina più sana delle quattro sorelle, la più dolce, si lasciava coccolare e adorava giocare con la sorellina fifona. Fu così che anche Cody venne scelta.
Cody è la nostra mamma gatta.
Un anno dopo Codina diede alla luce cinque piccoli gattini, un maschietto e quattro femminucce. Proprio come era stato per la cucciolata da cui era nata. I gattini, come lei, erano tutti tigrati.
Imparai - io che non dovevo avere dei gatti! - ad aiutare una mamma gatta nel parto e nell'allattamento. Inventai buonissime pappe per i micetti e trovai meravigliose famiglie per adottare i gattini. Riuscii persino a non dividere due delle quattro sorelline.
L'esperienza del parto e dello svezzamento resterà come uno dei più bei ricordi della mia vita.
Cody capiva che potevo aiutarla: durante il travaglio volle spostarsi nella nostra stanza e cominciò a far nascere un cucciolo dopo l'altro solo quando fummo tutti intorno a lei. Mi riconosceva come mamma e mi accettava durante l'allattamento.
I gattini erano tutti sani e seguirono normalmente lo sviluppo fino al'indipendenza dalla mamma. Fu doloroso lasciarli andare in una nuova casa, ma nel contempo fu anche un grandissimo successo personale. Mi sentivo davvero gratificata.
Solo uno di loro prese una strada diversa. Quando Cody decise di non allattare più uno dei suoi cuccioli, un maschietto nato con la coda corta, imparai a svezzarlo anticipatamente e lo presi in cura per sopperire alle coccole mancanti, affezionandomi a lui.
E fu così che Codamozza venne scelto.
Non di solo rose. Decidere di avere dei gatti è stato l'inizio di un'avventura fatta di rigurgiti, schifezze da pulire in giro per casa, ricerche web su siti specializzati, visite mediche, vaccini, soprammobili in mille pezzi e giocattoli sparsi per casa. Ma sono una mamma e ci sono già passata un paio di volte.
Si tratta delle conseguenze e della responsabilità del prendersi cura di qualcuno che porta luce e amore nella nostra vita. No pain, no gain.
Adesso non saprei vivere senza queste bellissime creature che condividono il mio spazio, perché danno molto di più di quello che si prendono e sentirei un grande vuoto.
Da questa storia ho imparato almeno tre cose.
N. 1mai dire mai,perché non sai cosa ti riserva il futuro
N. 2da un gatto a due è un grande passo,da due gatti in su è un attimo
N. 3i gatti curanoil mal di testa e molte, moltissime altre cose
Poiché non voglio fare la parte della gattara fanatica, se volete sentire altre storie sui nostri mici, contattatemi. Per il momento mi limito a fare quello che fa ogni ogni persona che ospita dei pelosi: vi inondo di foto. Miao.
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