Sono madre di due splendidi bambini che frequentano la scuola elementare e sto affrontando i primi cambiamenti verso l'adolescenza con la più grande che fra un anno sarà alle medie. I problemi non finiscono mai.
E per fortuna nemmeno le soluzioni.
Durante la scuola dell'infanzia il mio piccolo si comportava in modo oppositivo, questo è il modo in cui maestri e psicologi definiscono quello che noi mamme chiamiamo "capricci". In pratica era tutto un no, un muso, un non voler seguire le attività programmate che trovava perlopiù noiose.
Lo so, un altro tipo di scuola, steineriana o montessoriana, avrebbe sicuramente risolto il problema, ma non è un'opzione praticabile perché nella mia piccola nazione, anche potendo, non ci sono alternative alla scuola pubblica.
Per farla breve, nella scuola dell'infanzia era sempre fuori dalla classe. Con lui il Time-Out veniva costantemente applicato come metodo educativo per calmare gli eccessi di comportamento o il suo rifiuto a svolgere le attività pianificate.
Vi confesso che questo sistema non ha migliorato il comportamento di mio figlio ed io, che ho sempre pensato che due minuti fermi a pensare potessero essere utili, ho riveduto completamente la mia idea sul time-out.
Questo metodo che sembrava così efficace con la maggior parte dei bambini, non otteneva risultati con il mio, anzi ne aumentava la reattività una volta che veniva reinserito nel gruppo e mi sono fatta l'idea che non fosse la soluzione al problema quando ho provato a metterlo in pratica anche a casa. In mio figlio generava solo sentimenti di esclusione e inadeguatezza, rinforzando i comportamenti negativi.
Ho cominciato a detestare il time-out ed è cresciuto in me un forte astio nei confronti delle insegnanti che lo praticavano con mio figlio: era evidente che fosse la cosa sbagliata da fare!
Ne parlai con loro, alcune cercarono sistemi diversi, altre purtroppo non volevano cambiare un metodo che ritenevano infallibile.
Con l'ingresso di mio figlio nelle scuole elementari la situazione non è migliorata. Possibile che non ci sia un'alternativa a quella di prendere il bambino capriccioso e buttarlo fuori dalla classe a meditare sul suo comportamento? Cominciai a credere che fosse solo il modo più semplice per continuare a lavorare in pace con quei bambini che si adattano più facilmente alle regole e non fanno ammattire.
Di fatto, nella scuola ordinaria tutti i bambini devono fare le stesse attività e raggiungere i medesimi obbiettivi nel medio-breve periodo, indipendentemente dal loro grado di sviluppo e attitudini. Anche se a casa, in età prescolare, hanno già affrontato determinati problemi e fatto certe esperienze, non importa: facciamo tutti un passo indietro e ricominciamo. Devi essere al livello degli altri, anche se questo significa piegarti sulle ginocchia.
Non è difficile capire che alcuni bambini, come spesso accade a mio figlio, possano sentirsi frustrati o annoiarsi e avere come unica risposta alle richieste dell'insegnante un comportamento "oppositivo".
Oggi ho letto una nuova parola: Time-In.
Ho subito sperato che fosse un metodo che voleva contrapporsi al Time out, ed era così.
Riporto l'esperienza di una madre adottiva che ha utilizzato senza successo il time-out. I bambini a lei affidati arrivavano da situazioni di abuso e violenza domestica e metodi educativi punitivi o fisici non erano praticabili. L'unica cosa che poteva fare per contenere i loro capricci era il time-out... finché non ha provato il time-in.
La chiave del time-in sta tutta in quelle parole:
"Vai a sederti sulle ginocchia di tuo padre e raccontagli cosa c'è che non va!"
Non ha allontanato il bambino, non ha preteso che trovasse da solo il bandolo alla matassa delle sue emozioni.
Gli ha detto: calmati e fatti aiutare da noi, che siamo grandi e sappiamo proteggerti anche dai tuoi sentimenti.
In un bell'articolo Amanda Morgan nota come il termine Time-Out sia di derivazione sportiva. Tutti noi abbiamo ben presente l'allenatore mettere le mani a T e chiedere una pausa se nota qualcosa che non va in campo. Ma a quel punto cosa accade? Chiama a sé alcuni o tutti i giocatori e parla con loro. Spiega cosa ha visto di sbagliato e suggerisce una nuova strategia, un diverso comportamento. Senza questi suggerimenti, i giocatori tornerebbero in campo con le stesse competenze e strategie, senza migliorare la performance.
Gli educatori che utilizzano il time-out, invece, chiedono ai bambini di risolvere da soli il problema seduti su una seggiolina in un angolo della classe, mentre loro tornano ad occuparsi di quelli che già seguono correttamente le regole. Mi chiedo che tipo di educazione sia. Sicuramente limitata al nozionismo, al livellamento e al benessere delle insegnanti. Non certo a crescere un bambino, che invece comincerà a sentirsi diverso ed immeritevole di attenzione.
I motivi per cui l'autrice critica il time out sono molteplici:
Il Time-Out viene usato troppo spesso.
Non è sempre necessario mandare il bambino nella sua camera o chiedergli di "pensare a quello che ha fatto". Quando la monelleria è di poca importanza e il comportamento è solo un pochino sopra le righe, utilizzare il time-out è come usare un martello per fissare uno spillo, e sicuramente perde di efficacia generando nel bambino un sentimento di ingiustizia.
Il Time-Out non è sempre adatto all'età del bambino.
Chiedere ad un bambino di ragionare da solo sul comportamento e gestire autonomamente i sentimenti di rabbia, dolore, umiliazione, va bene solo da una certa età, quando ha acquisito le competenze emotive necessarie. Un bambino piccolo che viene escluso dalla comunità in un momento di crisi, può solo pensare che quello sia il posto dei bambini "cattivi" o che la maestra (o la mamma) sia arrabbiata con lui. Non apprende certo un miglior modo di comportarsi.
Il Time-Out viene usato come punizione.
Siamo arrabbiati, è la decima volta che fa così... "Vai in camera tua!!" E intanto lasciamo i fratelli davanti alla TV o a fare una golosa merenda mentre lui deve pensare a quello che ha fatto, lontano dal gruppo. Per noi è la giusta punizione, ma quando uscirà dal suo angolo non avrà acquisito un migliore comportamento e non abbiamo nessuna assicurazione che abbia davvero pensato a quello che ha combinato. Nulla è cambiato.
Io credo che per aiutare un bambino a trovare il comportamento giusto, sia necessario aprirgli gli occhi su quello che ha fatto dandogli una visione dall'esterno, da qualcuno meno coinvolto di lui.
Va quindi aiutato a comprendere i suoi sentimenti e le sue emozioni più forti, senza giudicarlo, facendogli capire che quello è il modo in cui il suo cuore ha reagito al problema e che è naturale avere certi sentimenti. Di solito racconto a mio figlio un'esperienza analoga che posso aver avuto da piccina per fargli sentire che capisco bene quello che prova.
Tutto questo può certamente accadere in un contesto di time-out, perché è necessario farlo privatamente, in un angolo o in una stanza dove non vi siamo gli altri, solo lui ed io. Oppure va bene qualsiasi ambiente tranquillo, leggendo un libro insieme, ascoltando una musica dolce o chiedendogli di disegnare cosa è successo. Trovato il metodo per calmarlo, diventa semplicissimo e naturale parlare insieme di quello che è accaduto e ragionare su una nuova strategia da adottare per evitare qualcosa di simile in futuro.
E oggi ho scoperto che questo è proprio quello che viene chiamato Time-in.
Riferimenti:
Modern Parents Messy Kids
Not Just Cute
E per fortuna nemmeno le soluzioni.
Durante la scuola dell'infanzia il mio piccolo si comportava in modo oppositivo, questo è il modo in cui maestri e psicologi definiscono quello che noi mamme chiamiamo "capricci". In pratica era tutto un no, un muso, un non voler seguire le attività programmate che trovava perlopiù noiose.
Lo so, un altro tipo di scuola, steineriana o montessoriana, avrebbe sicuramente risolto il problema, ma non è un'opzione praticabile perché nella mia piccola nazione, anche potendo, non ci sono alternative alla scuola pubblica.
Per farla breve, nella scuola dell'infanzia era sempre fuori dalla classe. Con lui il Time-Out veniva costantemente applicato come metodo educativo per calmare gli eccessi di comportamento o il suo rifiuto a svolgere le attività pianificate.
Vi confesso che questo sistema non ha migliorato il comportamento di mio figlio ed io, che ho sempre pensato che due minuti fermi a pensare potessero essere utili, ho riveduto completamente la mia idea sul time-out.
Questo metodo che sembrava così efficace con la maggior parte dei bambini, non otteneva risultati con il mio, anzi ne aumentava la reattività una volta che veniva reinserito nel gruppo e mi sono fatta l'idea che non fosse la soluzione al problema quando ho provato a metterlo in pratica anche a casa. In mio figlio generava solo sentimenti di esclusione e inadeguatezza, rinforzando i comportamenti negativi.
Ho cominciato a detestare il time-out ed è cresciuto in me un forte astio nei confronti delle insegnanti che lo praticavano con mio figlio: era evidente che fosse la cosa sbagliata da fare!
Ne parlai con loro, alcune cercarono sistemi diversi, altre purtroppo non volevano cambiare un metodo che ritenevano infallibile.
Con l'ingresso di mio figlio nelle scuole elementari la situazione non è migliorata. Possibile che non ci sia un'alternativa a quella di prendere il bambino capriccioso e buttarlo fuori dalla classe a meditare sul suo comportamento? Cominciai a credere che fosse solo il modo più semplice per continuare a lavorare in pace con quei bambini che si adattano più facilmente alle regole e non fanno ammattire.
Di fatto, nella scuola ordinaria tutti i bambini devono fare le stesse attività e raggiungere i medesimi obbiettivi nel medio-breve periodo, indipendentemente dal loro grado di sviluppo e attitudini. Anche se a casa, in età prescolare, hanno già affrontato determinati problemi e fatto certe esperienze, non importa: facciamo tutti un passo indietro e ricominciamo. Devi essere al livello degli altri, anche se questo significa piegarti sulle ginocchia.
Non è difficile capire che alcuni bambini, come spesso accade a mio figlio, possano sentirsi frustrati o annoiarsi e avere come unica risposta alle richieste dell'insegnante un comportamento "oppositivo".
Oggi ho letto una nuova parola: Time-In.
Ho subito sperato che fosse un metodo che voleva contrapporsi al Time out, ed era così.
Riporto l'esperienza di una madre adottiva che ha utilizzato senza successo il time-out. I bambini a lei affidati arrivavano da situazioni di abuso e violenza domestica e metodi educativi punitivi o fisici non erano praticabili. L'unica cosa che poteva fare per contenere i loro capricci era il time-out... finché non ha provato il time-in.
As readers of this website may know, our 3-year-old son adopted through foster care, Stinkpot, is the master of fit-throwing. (Yesterday, as I was driving down the road, he was throwing Easter eggs at me from the back seat. I threw them out the window as he threw them at me. Observers probably thought the Easter bunny was driving by.)
We institute the 1-2-3 time-out as discipline for misbehavior. However, this week, I did something different.
“NO! You are not getting candy for supper! Stop hitting me and go sit in your father’s lap right now and tell him what you did was wrong!”
Would you believe it calmed him down sooner, and he behaved the rest of the evening?
La chiave del time-in sta tutta in quelle parole:
"Vai a sederti sulle ginocchia di tuo padre e raccontagli cosa c'è che non va!"
Non ha allontanato il bambino, non ha preteso che trovasse da solo il bandolo alla matassa delle sue emozioni.
Gli ha detto: calmati e fatti aiutare da noi, che siamo grandi e sappiamo proteggerti anche dai tuoi sentimenti.
In un bell'articolo Amanda Morgan nota come il termine Time-Out sia di derivazione sportiva. Tutti noi abbiamo ben presente l'allenatore mettere le mani a T e chiedere una pausa se nota qualcosa che non va in campo. Ma a quel punto cosa accade? Chiama a sé alcuni o tutti i giocatori e parla con loro. Spiega cosa ha visto di sbagliato e suggerisce una nuova strategia, un diverso comportamento. Senza questi suggerimenti, i giocatori tornerebbero in campo con le stesse competenze e strategie, senza migliorare la performance.
Gli educatori che utilizzano il time-out, invece, chiedono ai bambini di risolvere da soli il problema seduti su una seggiolina in un angolo della classe, mentre loro tornano ad occuparsi di quelli che già seguono correttamente le regole. Mi chiedo che tipo di educazione sia. Sicuramente limitata al nozionismo, al livellamento e al benessere delle insegnanti. Non certo a crescere un bambino, che invece comincerà a sentirsi diverso ed immeritevole di attenzione.
I motivi per cui l'autrice critica il time out sono molteplici:
Il Time-Out viene usato troppo spesso.
Non è sempre necessario mandare il bambino nella sua camera o chiedergli di "pensare a quello che ha fatto". Quando la monelleria è di poca importanza e il comportamento è solo un pochino sopra le righe, utilizzare il time-out è come usare un martello per fissare uno spillo, e sicuramente perde di efficacia generando nel bambino un sentimento di ingiustizia.
Il Time-Out non è sempre adatto all'età del bambino.
Il Time-Out viene usato come punizione.
Siamo arrabbiati, è la decima volta che fa così... "Vai in camera tua!!" E intanto lasciamo i fratelli davanti alla TV o a fare una golosa merenda mentre lui deve pensare a quello che ha fatto, lontano dal gruppo. Per noi è la giusta punizione, ma quando uscirà dal suo angolo non avrà acquisito un migliore comportamento e non abbiamo nessuna assicurazione che abbia davvero pensato a quello che ha combinato. Nulla è cambiato.
Io credo che per aiutare un bambino a trovare il comportamento giusto, sia necessario aprirgli gli occhi su quello che ha fatto dandogli una visione dall'esterno, da qualcuno meno coinvolto di lui.
Va quindi aiutato a comprendere i suoi sentimenti e le sue emozioni più forti, senza giudicarlo, facendogli capire che quello è il modo in cui il suo cuore ha reagito al problema e che è naturale avere certi sentimenti. Di solito racconto a mio figlio un'esperienza analoga che posso aver avuto da piccina per fargli sentire che capisco bene quello che prova.
Tutto questo può certamente accadere in un contesto di time-out, perché è necessario farlo privatamente, in un angolo o in una stanza dove non vi siamo gli altri, solo lui ed io. Oppure va bene qualsiasi ambiente tranquillo, leggendo un libro insieme, ascoltando una musica dolce o chiedendogli di disegnare cosa è successo. Trovato il metodo per calmarlo, diventa semplicissimo e naturale parlare insieme di quello che è accaduto e ragionare su una nuova strategia da adottare per evitare qualcosa di simile in futuro.
E oggi ho scoperto che questo è proprio quello che viene chiamato Time-in.
Riferimenti:
Modern Parents Messy Kids
Not Just Cute
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