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Bambini innocenti e vecchi abbruttiti. Non so se leggere le ultime battute di una mailing list cui appartengo mi è piaciuto. Qualche riflessione sulla banalità umana. Fin da bambina non volevo restare bambina. L'innocenza va di pari passo con l'inesperienza e ho sempre preferito essere consapevole piuttosto che innocente. Sono sempre stata dalla parte di quelli che vogliono capire e apprezzo i bambini proprio per la loro grande capacità di apprendere. Insomma, forse vi sembrerò cinica, ma non mi sciolgo davanti alla vista di un infante e mantengo una certa lucidità di fronte alle sue estrusioni.
Perchè associare sempre la parola invecchiamento alla parola abbruttimento? Non mi piace e non sono daccordo. Sono contenta di essere diventata 'grande' e _non_ voglio tornare bambina: il bello del passato è che è passato. Non invecchierò da brutta e il mio compagno non diventerà brutto con me, né tantomento diventeremo bambini; invecchieremo, certamente, come abbiamo fatto dal giorno che siamo venuti al mondo.
Mi piace pensare a certi vecchi come la Hack, la Montalcini, Rubbia ed Eco che non sono più dei giovanotti, la Aspesi (di cui ho recentemente letto un ottimo articolo su Repubblica a proposito di certe sue coetanee che ha ispirato queste righe) e, se proprio ci vuole un esempio liturgico, Tonini o il papa in persona. Potrei continuare con una decina di  ottimi docenti che ancora esercitano la professione universitaria, ma quanti ne potreste ricordare anche voi... Nessuno di loro mi sembra brutto, e mi ci vuole un discreto sforzo per paragonarli a bambini, forse in una certa fragilità del corpo, ma nient'altro.
Soffermiamoci anzi sul fatto che i vecchi, quando si comportano da bambini (rimbambiti) sono perlopiù vittime di una malattia e non in una condizione sana.
La visione bucolico-evangelica dell'infanzia mi deprime tantissimo, perché non considerarla un po' più scientificamente, al pari di una qualsiasi altra tappa della vita? Perché non ragionare sul fatto che i bambini ci appaiono belli (come tutti i cuccioli) proprio perché ciò favorisce la loro sopravvivenza?
Temo che Veline e Velone, e una certa cultura buonista, ci stiano inevitabilmente condizionando: non farà bene alla nostra vecchiaia. Per niente.
Per tutti gli altri discorsi letti di recente:
non vorrei sembrare ripetitiva, si parla anche troppo di persone che cambiano e che non si riconoscono. E' il discorso più vecchio e banale del mondo: ognuno di noi cambia nel tempo, essendo materia organica la nostra e quindi soggetta al normale processo di ossidazione, cambieremmo anche se restassimo immmobili per il resto della nostra vita accovacciati su una pietra a sostenerci di acqua piovana. Quando rivediamo qualcuno che apparteneva al nostro passato, è normale e prevedibile un certo imbarazzo da parte di entrambi: i cambiamenti non sincroni ci disturbano e non riconosciamo il vecchio amico, ormai evoluto per la sua strada. Ma non è lui che è cambiato, lo abbiamo fatto entrambi. Indipendentemente.
Trascorrere il tempo insieme rende questi cambiamenti trasparenti, perché evolvendo insieme, come coppia o famigia o nucleo di amicizie, abbiamo il tempo e la possibilità di adattarci l'un l'altro. Non mi meraviglierei troppo per questi fatti e non perderei il tempo a chiedermi il perché. Fanno parte della natura umana. Per questo sono propensa alla socializzazione piuttosto che all'isolamento: mi permette di sorprendermi di meno e meglio adattarmi al cambiamento delle persone che mi circondano.
Anche se, parafrasando Pretty Woman, "la maggior parte delle persone mi shocca a morte"








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